Ariston. Cartoline dalla riviera che resiste
Lo scorso ottobre, giusto in tempo per Lucca Comics&Games, Oblomov ha pubblicato il nuovo fumetto della coppia creativa De Santis/Colaone, Ariston. Il titolo fa riferimento ad un albergo della riviera adriatica (realmente esistente) attorno al quale gravitano le vite delle tre protagoniste: Renata, Bianca e Roberta.
Una lettura distratta della copertina potrebbe farci pensare ad un altro “Ariston”, il cinema-teatro più famoso d’Italia, che dagli anni Settanta è sede del Festival di Sanremo. E in un certo senso, questo romanzo corale ambientato nell’Italia del secondo dopoguerra, di musica italiana ne contiene molta, da Nilla Pizzi a Jula de Palma, a Mina a Patti Pravo.
Una colonna sonora tutta al femminile, con artiste scelte non per caso: tra le pieghe di questa commedia all’italiana si legge infatti un sincero omaggio alle donne italiane che non vollero mai conformarsi, a quelle che combatterono il nazifascismo, che finirono sulle pagine della cronaca nera per poi essere dimenticate, e infine a quelle che negli anni del miracolo economico sfidarono un sistema culturale basato sulla loro oppressione e discriminazione, aprendo la strada ad una più ampia lotta per l’autodeterminazione e la parità dei generi.
Come ha scritto Francesco Satta nella postfazione, i reali accadimenti raccontati in Ariston infatti “hanno lasciato il segno nel costume e nella morale del nostro Paese, in alcuni casi modificandoli indelebilmente”. Nell’elegante sceneggiatura di Luca De Santis e gli espressivi disegni di Sara Colaone questi guizzi di contemporaneità diventano accessibili a tutti i lettori, anche a quelli meno familiari con questo tipo di conversazione.
Il fumetto attraversa tre decadi di Storia del nostro paese, mantenendo al centro la figura di Renata, che eredita la gestione dell’Ariston alla morte del padre, nel 1955, e la porterà avanti fino al 1975. Renata si prende cura della struttura e del suo stuolo di dipendenti con devozione e rigore, cercando di bilanciare quest’impresa con il matrimonio e l’educazione del figlioletto Marco.
Renata è per i turisti, per la famiglia e per i dipendenti una roccia, una certezza incrollabile. Una persona squisitamente pratica, concreta: per capirci, se le si regala una borsa di lusso, lei finisce che ci fa la spesa (lo sa bene Roberta, che da Montecarlo le aveva portato una Kelly di Hermès per ritrovarla piena di frutta e verdura, a fianco dell’amica).
All’Ariston ogni estate ci si diverte da matti. Basta chiedere alla Contessa, che non si perderebbe l’appuntamento estivo da Renata nemmeno se avesse problemi di salute. Bianca (non poteva non chiamarsi così, grazie Luca!) è una donna sicura di sé, carismatica, amichevole. Indipendente e smaccatamente teatrale nei modi è, in quanto aristocratica, piena di contraddizioni. Partecipa ai ricevimenti dell’albergo tenendo sempre una sedia vuota accanto a sé, qualora dovesse imbattersi in un bisognoso (nelle sue parole, “un povero”) in cerca di alloggio e riparo. Ben consapevole che da quelle parti i veri poveri non si vedono nemmeno col binocolo.
Nell’apparentemente spensierato microcosmo balneare bibionese si annidano però tristezza, brutti ricordi e agitazioni. Al lutto che colpisce una coppia di tedeschi e agli investimenti azzardati di Carlo (marito di Renata) si aggiunge Roberta, la melanconica compagna di un’Amministratore Delegato (non sapremo mai di che azienda).
Diversamente da Bianca, che pur essendo vedova ha imparato a convivere con la propria solitudine sentimentale senza curarsi del giudizio altrui, Roberta è invece un personaggio che non riesce a venire a patti con l’insoddisfazione che le procura il suo matrimonio; la sua è una figura resa estremamente fragile dalle critiche dei pettegoli e dall’incapacità di guidare la propria vita. Tradita, lasciata e ripresa, è impotente di fronte agli eventi e al compagno. Un promemoria vivente: la corsa all’autodeterminazione sarebbe dovuta iniziare di lì a brevissimo, non c’era altro tempo da perdere.
Guai a fare l’errore di sottovalutare un libro come Ariston. Che è una lezione di storia, prima di tutto. Un accurato affresco dell’Italia del dopoguerra, l’Italia che conosciamo per i racconti dei nostri genitori o dei nostri nonni, l’Italia ferita che vuole lasciarsi alle spalle i traumi della guerra e della povertà e che per ricercare svago e benessere si riversa nelle località costiere. Terra della nobilità finita, del matrimonio riparatore, delle case chiuse, del divorzio e del delitto d’onore.
De Santis e Colaone sfruttano qui la commedia e il lazzo per darci un messaggio importante: la scelta è la misura della rivoluzione. Uno strumento di cui disponiamo tutt*, in misura diversa. Dunque mai mai mai avere paura di esporsi se si crede in qualcosa, perché anche i gesti più semplici possono fare la differenza e dare un grande contributo al miglioramento di una società neoliberale, patriarcale e razzista!