Comarò vol. 1 – In conversazione con Juta
Sabato 22 febbraio 2025 ha inaugurato a Schio (Vicenza) una piccola rassegna sul fumetto che ho avuto il piacere di curare col supporto di Saverio Bonato di Casa Capra e la libreria Quivirgola. Il primo ospite di Comarò è stato Juta (Simone Rastelli), arrivato direttamente da Roma.
Non era la prima volta che accoglievamo Juta a Schio. Qualche anno prima, nel 2021, era venuto qui in occasione dell’uscita del suo primo libro a fumetti “Bambino Paura” (edito da Rizzoli Lizard). Mentre organizzavamo Comarò, è stato naturale pensare a lui come primo ospite. Anche per una questione di buon auspicio alla rassegna. Quella che leggerete di seguito è una trascrizione della nostra piacevolissima chiacchierata – condensata quanto possibile, per esigenze editoriali.
VALERIA: Sono passati alcuni anni dall’ultima volta che sei stato qui a Schio per presentare “Bambino Paura”. Ora torni per parlarci della tua ultima fatica, “Gatto Pernucci”, pubblicato con Coconino Press la scorsa primavera. Vorrei iniziare con una domanda, che penso sia quella che ci siamo poste tutte dopo aver letto il fumetto: come ti è venuta l’idea di creare un personaggio come Gatto Pernucci, già iconico dal primo momento in cui è apparso disegnato su un foglio?
JUTA: Gatto Pernucci è nato in un momento molto specifico. Ero a casa con il Covid, nel 2021. Era più o meno Natale e io avevo appena disegnato questa storia, che se volete possiamo rileggere assieme.
[Sullo schermo dietro di noi viene proiettata la storia presente sul suo sito Spezzoni: potete leggerla anche voi qui].
È la prima volta che la leggo ad alta voce. Questa storia è nata così, improvvisando. Io avevo i capelli lunghi, ero a casa con una vestaglia che lavavo gli spinaci, e avevo il Covid.
V: E il nome? Non tanto “Gatto”, ma “Pernucci”?
J: Non esiste credo il cognome Pernucci. Avevo un amico di infanzia che di cognome faceva Bernucci. E poi mi è capitato di conoscere dei Pennucci. Ma Pernucci si è manifestato così: diciamo che è pure piacevole da pronunciare. Già ora lo abbiamo nominato una decina di volte, penso che per la fine della presentazione avremo raggiunto il centinaio.
V: Tenere un contatore in effetti sarebbe stato una buona idea. Peccato che non averci pensato prima. Tornando al disegno: con “Gatto Pernucci” sei approdato al colore, dopo aver lavorato a lungo in bianco e nero. Come mai? Da dove origina poi la bicromia del personaggio, questo azzurro pastello abbinato al giallo?
J: Essendo a casa col Covid avevo tempo di colorare, cosa che in genere non facevo. È uscito azzurro, e mi son fidato. Credo che a suo modo ricordi tante cose dei cartoni animati. L’impressione che ho è che mi sia uscito mischiando tante cose che esistono, come i Minions, Hello Kitty, Lupo Alberto, i Puffi. Gatto Pernucci è a colori sostanzialmente perché le contingenze in cui nasce erano quelle che vi ho descritto; ero costretto a casa e volevo fare una cosa diversa dal solito. È colorato perché non avevo mai colorato prima nei fumetti. Adesso ho voglia di continuare così; sto studiando metodi diversi di usare il colore.
V: Oltre alle sue sembianze e la sua forma, curiosa, di salsicciotto senza orecchie, zampe o coda, non possiamo non citare il fatto che sia celeberrimo. Gatto Pernucci è un idolo delle masse, piace a grandi e piccini. Come mai è famoso? Non ci viene spiegato se eccelle in qualche particolare settore, non è uno sportivo professionista, non è uno scrittore, non è uno scienziato. Cosa ci puoi dire a riguardo? Ritorni sul tema della notorietà, della fama, dopo “Bambino Paura” perché ti senti toccato dall’argomento (magari ad un livello inconscio)?
J: Mi interessa molto il concetto, l’idea, dell’icona. Sicuramente ha a che fare con la fama. È vero che entrambi i libri affrontano questo tema, mi è stato fatto notare più volte ed effettivamente è così, anche se di mio non ci avevo fatto caso. Per “Bambino Paura” era è un escamotage per parlare dell’ambiente di un piccolo paese e della sua quotidianità che subisce uno scossone; per “Gatto Pernucci” è più un ragionamento che parte dal concetto di ultraterreno e di icona. Ora esagero, ma credo che oltre che ai Puffi e Hello Kitty, Gatto Pernucci assomigli anche a queste statuine iconiche che si trovano nei musei archeologici o di storia etrusca. Con lo sguardo di oggi potremmo definirli “pupazzetti”, ma erano divinità e persino entità magiche. Il rapporto di vicinanza con quelle entità, questo mi interessa. Questo personaggio tiene insieme delle ossessioni che ho accumulato negli anni, in sostanza.
V: All’inizio del libro tu racconti il funerale di Gatto Pernucci. Un evento che raduna numerosi fan, di età e generazioni diverse, che si ritrovano a fare la coda in attesa di poter dare l’ultimo saluto al loro idolo. All’interno di questa sequenza ci mostri una curiosa interazione tra un’anziana e un ventenne. Lei dice, quasi scusando la sua presenza ad un ritrovo del genere, che “è la prima volta” che partecipa al funerale di qualcuno di famoso. Il ragazzo replica per rassicurarla che “questo è diverso”. Dunque non è una celebrità come tutti gli altri, Gatto Pernucci. Perché è speciale, secondo te?
J: Rispondo con un esempio calato nell’attualità. È come se morisse Topo Gigio. Io ci andrei al funerale! Sarebbe un evento bellissimo, di grande comunità. Come fai ad avercela con Topo Gigio? Qui la dinamica è molto simile: Pernucci è un personaggio se vogliamo ancora più misterioso, è completamente inerme, non parla, non fa nulla, è solo qualcosa su cui proiettare il proprio amore. È diverso perché ha una forma diversa da tutto quello che è presente nell’universo descritto nel libro. I personaggi sopradescritti in un certo senso è come se percepissero il suo stato ultraterreno.
V: Un momento di raccoglimento e commozione come quello del funerale viene rallegrato dalla presenza di numerose bancarelle di merchandise a tema Gatto Pernucci (da capire se autorizzato o meno). Si capisce, leggendo queste pagine, che ti sei divertito moltissimo ad immaginare l’oggettistica dedicata al tuo protagonista, dal profumatore per auto, al portachiavi, all’abbigliamento, il salvadanaio, la spilla, la cover del telefono. Quale oggetto compreresti per te, dovessi scegliere?
J: Sì, mi sono divertito moltissimo a fare quelle pagine! Potevo tranquillamente aggiungerne altre centocinquanta. Rimanendo umile, ti rispondo che per me vorrei l’elicottero di Gatto Pernucci. Spero che i gadget non vengano mai realizzati, rimangano bensì solo disegnati. Se parliamo di autorizzazioni, direi che avrebbero via libera solo le produzioni di cose “consumabili”, tipo i biscotti, che poi ti mangi, o i calendari, che a fine anno butti via.
V: Tu l’hai fatto un calendario di Gatto Pernucci!
J: Esattamente. Per il resto spero non venga mai prodotta la calza di Gatto Pernucci. O se dovesse accadere, spero minimo di potermi comprare una casa col ricavato.
[A Casa Capra, in concomitanza dell’evento, era esposta una mostra di disegni realizzati dagli studenti delle Scuole medie di Magrè e San Vito di Leguzzano (Vicenza), che reinterpretavano Gatto Pernucci. Juta vi fa riferimento, e rispondendo alla domanda invitava i presenti a visitarla, per avere un’idea più ampia di quante declinazioni, potenzialmente infinite, possono esserci di questo personaggio]
V: Più avanti nel libro descrivi un episodio della vita di Pernucci in cui si verifica un vero e proprio scontro tra lui e i media. L’occasione è offerta da una mostra d’arte, cui Gatto Pernucci presenziava come ospite, invitato dall’artista in esposizione. Dal momento che si muove raso terra, provoca la caduta di una ragazza, che inciampa sulla sua figura e cadendo dalle scale si rompe un braccio. La stampa si scatena, mettendo al bando Pernucci, accusato di aver architettato tutto per fare pubblicità alla mostra. Abbiamo quindi un primo assaggio di cattiva stampa e di odio mediatico, rivolto al nostro eroe. Forse non è così benvoluto dopo tutto?
J: Gatto Pernucci non ha modo di esprimere il suo parere sulle cose. Il fatto che gli altri parlino di lui e per lui è il meccanismo che mi fa venire voglia di continuare a raccontare questo personaggio: ci sono tanti livelli di lettura che si possono aggiungere. Tutti parlano e al tempo stesso nessuno parla. Sai quando si dice “La gente”. Ecco, io dico “La gente” e qualcuno dirà di me “La gente”. Questo mi interessava, e anche l’ambientazione della mostra, così astratta, è terreno fertile per diventare specchio di tutto questo.
V: La mostra, a proposito, è di un artista amico di Gatto Pernucci. Come in una sorta di easter egg, le opere che vediamo disegnate in quelle tavole sono realizzate da due tuoi amici: Antonio Pronostico (i quadri) e Frita (le sculture). Come ti è venuto in mente di coinvolgerli?
J: Il lavoro del fumettista è un lavoro solitario, per questo mi piace il fatto di poterlo rendere collettivo quando posso. Ho la fortuna di condividere uno studio con questi illustratori, Antonio e Francesco [a Roma, lo studio di chiama Linea Bar N.d.A] . È stato divertente e molto spontaneo il fatto di coinvolgerli, caricando le pagine di questi piccoli omaggi. Se riguardo le pagine del libro vedo che ci ha disegnato qualche amico, oppure che c’è un dettaglio che avevo visto in un viaggio e ho poi inserito… Tutte queste piccole cose mi motivano e mi danno energia per continuare a lavorare. La cosa che vorrei succedesse è che si capisse che ogni pagina è ricca d’amore. Io la chiamo magia, se questa cosa arriva, io sono contentissimo.
V: Ad un certo punto l’artista amico di Gatto Pernucci si lascia andare ad alcune considerazioni sul mondo dell’arte: esprime la sua frustrazione per come questi scandali mediatici allontanino le persone dalla fruizione delle opere, e per come i discorsi sul denaro e il valore dell’arte, svuotino il settore dalla sua vocazione originaria, che è quella di cambiare il mondo, o quantomeno aiutarci a capirlo meglio. Ti sei tolto qualche sassolino dalla scarpa, in queste pagine?
J: Quello mi sembra il modo in cui spesso si parla di arte. Uno mangia una banana e pensa: se la attaccavo al muro facevo l’artista. Da un lato è affascinante, tanti meccanismi dell’arte contemporanea ti consentono di ampliare il tuo sguardo sul mondo, dall’altro però in gioco ci sono dinamiche di potere legate a cose molto più astratte dell’arte, come la finanza. Sperimento quella stessa sensazione quando devo vendere degli originali. Mi chiedono “Quanto costa?”. E come fai a rispondere? È tutta la vita che mi dedico a questo. Non è facile. Rientra tutto nel rapporto tra la parte più concreta delle nostre vite e quella più metafisica. I soldi sono il traghetto tra questi due mondi. Quindi sì, mi sento affine all’artista in mostra, descritto nel fumetto.
V: Accanto a Gatto Pernucci compaiono poi nella storia altri due personaggi, Olga e Fausto. Lei è la ragazza che si è rotta il braccio alla mostra, lui il fidanzato. Vediamo che iniziano a vivere assieme in una casa di campagna, quando un giorno Gatto Pernucci va a far loro visita, piazzandosi di fatto a vivere con loro. La celebrità incontra infine delle persone comuni. Cosa ti ha ispirato a scrivere questa parte della storia?
J: La cosa che mi entusiasma di più del linguaggio dei fumetti è il ritmo. È la cosa a cui presto più attenzione quando lavoro. Quindi dopo tutta una prima parte dedicata a frammenti narrativi, ho voluto rallentare ed entrare in una dimensione più quotidiana, stringendo lo sguardo su un numero ridotto di personaggi. A dirti il vero non so ancora se mi convince! Il personaggio di Gatto Pernucci divora ogni cosa, ha troppo carisma, e risulta molto difficile mettergli a fianco dei personaggi secondari che non spariscano completamente. Lavoro molto d’istinto e non è che lo considero un errore, però la domanda, dal momento che voglio ancora parlare di questo personaggio e di ciò che gli accade, me la pongo: è possibile trovare dei co-protagonisti che affianchino una figura così caratteristica?
V: Secondo te il rapporto che si crea tra loro tre, dalla convivenza, si può definire tossico? Olga e Fausto sembrano “fissati” con Gatto Pernucci. Per certi versi sono pure sedotti da lui.
J: Tossico è la parola giusta. D’altra parte nelle storie di solito qualcosa deve andare storto. In una prima versione del libro, avevo disegnato tre amici che si trasferivano nella casa di campagna. Gatto Pernucci diventava subito il loro oggetto di contesa; ciascuno provava a conquistare il suo affetto. Quando ho rimosso un personaggio, tenendo solo la coppia, si è formato un triangolo molto più interessante. Ho capito che la scelta era stata giusta quando ho visto le prime reazioni di disagio provate dai lettori nella parte dove si allude all’aspetto più sessuale della loro relazione a tre. Io stesso provo dell’imbarazzo a pensarci. Credo sia molto efficace.
V: Nel libro non mancano le pagine surreali e oniriche. C’è una parte in cui un disegno di Gatto Pernucci fatto dalla co-protagonista Olga, diventa contenitore di altri mille Gatti Pernucci in miniatura e, come una sorta di buco nero, ne finiamo risucchiati fino a trovarci davanti una vignetta col tratto sgranato e incomprensibile.
J: Tra i temi esplorati nel libro c’è certamente quello dell’ossessione. Secondo me le ossessioni vanno coltivate. Nell’ambito dell’arte, soprattutto, non vanno rifuggite ma bisogna starci dentro più possibile. Gatto Pernucci è quasi un logo, un brand; viene voglia di esplorarlo all’infinito. E così fa anche il personaggio di Olga. Quel disegno nello specifico è minuscolo, scansionato a millemila dpi, tanto che l’ultima vignetta è semplicemente un ricordo del soggetto iniziale. È proprio un unico disegno zoomato in digitale.
V: Riguardo la morte di Gatto Pernucci, volevo chiederti se puoi rispondere alle illazioni di chi, su internet, dice che forse non è morto in maniera incidentale ma si è ucciso. Puoi confermare o smentire?
J: Mi interessano tantissimo tutte le teorie alternative alla morte di Pernucci! Quello che posso dire è che credo sia effettivamente morto. Può sopravvivere in forma di fantasma? Apparizione? Gadget? Tutto queste sono opzioni valide. Senza smentire la storia che ho raccontato, secondo me si possono esplorare anche queste alternative. Per chiudere, vi racconto un aneddoto. Una persona si è tatuata Gatto Pernucci sul braccio e la sua ragazza mi ha scritto per dirmi che si è accorta, dal tatuaggio, che esiste un’altra entità dentro Gatto Pernucci, Papernucci (semplicemente Gatto Pernucci sottosopra, N.d.A.). Mi hanno definito genio, ma giuro che anche io ci ho messo un po’ a vederlo. Lo sguardo misterioso di Pernucci, visto capovolto, si trasforma in uno sguardo petulante. Papernucci è vivo, parla. Capirete che di storie da raccontare ne abbiamo ancora a bizzeffe. Per chi è interessato, ora sto esplorando una teoria [sulle pagine della rivista online Lucy, N.d.A.] per cui Gatto Pernucci è vivo e si trova in America.

