Ricordando Tuono Pettinato: la dolcezza infantile e il magnifico fracasso di Nevermind
L’album che i Nirvana pubblicarono alla fine del 1992, Incesticide, contiene uno tra i loro cavalli di battaglia più amati, Sliver. Nella canzone Kurt Cobain canta l’esagerata cocciutaggine di un bambino rimasto con i nonni per una notte, guardando la tv e sentendosi abbandonato dai genitori. È un’ironica riflessione sull’infanzia, narrata attraverso armonie rudimentali e una fresca semplicità. “Grandma take me home! Grandma take me home!”
È solo uno dei tanti esempi dell’umorismo e della leggerezza di cui la band, e il suo leader in particolare, è stata capace. Nei panni del fanciullo piagnucolone, Cobain voleva che quella fosse “la canzone più ridicola” che avesse mai scritto. Registrata in poco più di un’ora, riusciva a trasmettere un senso di innocenza e determinazione, assieme all’aspra sensazione di sentirsi completamente incompresi.
Molte persone hanno raccontato la storia Cobain equivocandola, dimostrando di ignorare l’impatto che la società può avere sui traumi infantili e sull’autodistruzione degli adulti. Trasfigurato in un santino da portafoglio, Kurt è stato spesso stereotipato nel ruolo dell’artista depresso e messia generazionale che ha tragicamente posto fine alla sua vita. Per noi lettorx di fumetti, fortunatamente, c’è stato un autore che ha saputo discostarsi da questa tradizione melodrammatica per restituirci una fotografia più onesta del musicista. Sto parlando di Tuono Pettinato e del suo Nevermind.
“Kurt è un bambino allegro e spontaneo, anche se non sempre condivido le sue scelte. Ma è proprio nella difficoltà e nell’errore che gli amici veri vanno sostenuti” – Boddah
Mi sono accorta di non aver mai scritto di Tuono Pettinato, qui sul blog e altrove. Ecco un’altra parola che fa rima con vergogna. È passato un mese da quando Andrea Paggiaro ci ha lasciati e il minimo che possa fare è provare a prendere coraggio e mettere il mio tributo per lui nero su bianco, partendo appunto dalla sua biografia di Kurt Cobain, uno dei suoi fumetti che ho più riletto in assoluto. Un libro “che non esaurisce mai quello che ha da dire”, come direbbe Italo Calvino, dunque un classico.
Uscito per Rizzoli Lizard nell’aprile 2014, in occasione del ventennale della morte del cantante dei Nirvana, Nevermind è un volume relativamente breve, una novantina di pagine, con una copertina azzurra dove campeggia la facciona apatica di Kurt, riprodotta con la distintiva sintesi di Tuono, che sapeva tratteggiare con pochi gesti di pennino temperamenti energici e vitali o il loro opposto, come in questo caso: un completo torpore. Da nessuna parte è scritto “Kurt Cobain”, ma chissenefrega, never mind, è chiaro di chi si sta parlando.
Lo considero una lettura imprescindibile per qualunque fan dei Nirvana: non importa la generazione cui apparteniamo o il grado di ossessività che personalmente possiamo aver sviluppato attorno a questo musicista e questa band; con il suo libro Tuono ci ha dimostrato che possiamo ancora trovare modi originali per parlarne e scriverne e, anzi, che esiste una prospettiva inedita che non avevamo considerato per “guardare dentro” una vita durata appena ventisette anni. Prima della fama, prima che si rovinasse tutto e il male di vivere la inghiottisse.
Il Kurt protagonista del libro di Tuono Pettinato è un bambino vivace e allegro, che vaga per i boschi di Aberdeen (Washington) con il suo amico immaginario Boddah, cantando canzoni e confidando i suoi pensieri. Boddah è una figura che ha fatto parte della quotidianità di Cobain per anni; il destinatario della lettera d’addio scritta dal musicista prima di suicidarsi. Tuono ne fa una figura centrale del libro e lo disegna come la tigre di Calvin & Hobbes, la celebre striscia di Bill Watterson che ha spesso accreditato come lettura cardine per la sua formazione artistica e che è indicativa di una certa sensibilità condivisa dai gruppi grunge come i Nirvana. “Se ci pensi [di Boddah] se ne parla poco, mentre è qualcosa di assolutamente centrale nella sua vita”, raccontava a Fumettologica in un’intervista, spiegando questo apparente cortocircuito grafico.
Boddah, l’animale amico, visibile e invisibile, svolge il ruolo di narratore onniscente. A lui è infatti delegato il compito di riassumere gli spostamenti di Kurt e le tribolazioni seguite al divorzio dei suoi genitori, l’adolescenza ai margini. Lui si fa portavoce di importanti riflessioni sulla salute di una generazione e la necessità di una catarsi che sarebbe arrivata grazie alla musica: “I ragazzini come Kurt, nati sul finire degli anni Sessanta, non avevano vissuto l’esperienza di una guerra mondiale, non avevano combattuto in Vietnam. Nell’America della Guerra fredda e della repressione culturale, il divorzio, la solitudine e l’alienazione erano il loro Vietnam.”
La storia si muove tra flashback e flashforward, così anche se Kurt che incontriamo è giovanissimo, vediamo anche alcuni lampi della sua vita da “rockstar famosissima”. Tuono sceglie accuratamente i momenti clou della carriera da mostrarci. Gustosissimo fan service: su tutti, un paio di esempi: l’apertura del concerto al Reading Festival, nell’estate del 1992, quando Kurt si presenta sul palco in sedia a rotelle, in camice d’ospedale, per fare il verso alle voci che lo davano ormai per spacciato, e intona un verso di The Rose (“Some say love it is a river…”) per poi lasciarsi cadere stremato sul palco. O ancora, lui sul palco dell’Unplugged in New York organizzato da MTV, considerato da tuttx come una delle migliori performance dei Nirvana, che scherza col pubblico in sala mentre lo staff si attarda a preparare una delle chitarre, chiedendo “Cosa stanno accordando, un’arpa?”
Sono momenti in cui Cobain rivela il suo senso dell’umorismo, irriverente, giocoso, un aspetto della sua personalità spesso messo in ombra dai testi malinconici e dalle dipendenze da alcool e droghe, che non è però sfuggito a Tuono – maestro del calembour, campione di lazzo surreale, gran sacerdote dello sberleffo – che si è dedicato a questo progetto proprio con l’intenzione di raccontare in maniera diversa e originale una storia arcinota e inflazionata, ripartendo dalla genuina vitalità di Kurt e dei suoi amici.
Il titolo potrebbe a prima vista ingannarci. Nevermind non racconta la storia dell’omonimo disco che, nel 1991, ha segnato la consacrazione definitiva dei Nirvana trascinato dal singolo “Smells Like Teen Spirit”. Nevermind è lo scioglimento di un’enigma, la spiegazione del perché a Cobain “non importava” più quello che succedeva attorno a lui. L’insensibilità ricercata a tutti i costi, come unica soluzione per lenire un carattere sensibile, costantemente fuori posto e fuori luogo (“Il suono assordante è il miglior anestetico, tra i fischi del feedback che squagliano il cervello, una sublime estasi dell’ottundimento sensoriale!” leggiamo in un balloon che accompagna lo schianto di Kurt contro un muro di amplificatori accesi).
In una parola: grunge. Rumoroso, sporco, liberatorio, catartico, libero. La felicità punk di Cobain e della scena musicale di quel periodo sono ciò che Tuono vuole (e riesce a) riportare sulle pagine del suo fumetto, contestualizzandole e restituendo loro con grande eleganza, il meritato valore culturale. Questa felicità la conosce bene, avendo passato lui stesso, come Kurt, molti anni della giovinezza a consumarsi le orecchie su questo splendido fracasso.
In un breve documentario prodotto da Rai 4, l’autore pisano si autodefiniva “patito del grunge e dei gruppi con la camicia di flanella”. È evidente infatti che Nevermind sia prima di tutto e soprattutto il rispettoso omaggio di un fan. Omaggio ad una sottocultura, ad una band, ad un uomo e il bambino che era stato. (D’altronde chi se non un sincero appassionato avrebbe saputo realizzare un racconto che affronta delicate tematiche come solitudine, tristezza, frustrazione, rabbia e ribellione con tale delicatezza e tatto?)
Guardiamo ad esempio alle pagine cruciali e assieme apicali del libro, quelle dedicate alla separazione dei genitori di Kurt: Wendy e Don. Il momento preciso in cui lui, bambino di nove anni, apprende la notizia è rappresentato da un unico disegno muto, a tutta pagina, su cui campeggia nefasta la scritta esclamativa a caratteri cubitali: DIVORZIO! Boddah è costernato, Kurt tiene lo sguardo basso e inizia a piangere! Sembra quasi un frontespizio, l’introduzione a una nuova sezione. È in un certo senso è così, è il momento in cui per Cobain le cose cambiano davvero. Si fa più introverso, inizia a sviluppare una sintomatologia ansioso depressiva. E, di nuovo, è Boddah a raccontare questa transizione, mostrandoci la fatica fatta a parlare con il suo amico, e stargli vicino in un momento difficile. “Adesso sono rimasto solo. Che rabbia mi fanno!”
Nonostante non racconti tutta la vita di Cobain per filo e per segno, è impossibile per questo libro esaurire il suo messaggio: tra riferimenti culturali e collegamenti inaspettati, la mente di chi legge è continuamente stimolata (mai sovraccaricata) a scoprire – ma soprattutto capire. Con la naturalezza che lo ha sempre contraddistinto, Tuono dissemina qui e là nel libro citazioni musicali dottissime, dettagli biografici di Cobain passati inosservati. Impossibile non commuoversi di fronte alle tavole in cui Boddah e Kurt passeggiano nel bosco cantando The motorcycle song di Arlo Guthrie, ridacchiando sulle sue rime dadaiste (Pickle-Motorcycle!); o non rigirarsi il libro tra le mani nelle pagine in cui scorrono i testi di canzoni punk hardcore, provando a intercettarne tutti gli autori riprendendone i cori (Rise above, we’re gonna rise above!)
Sgombrando il campo dalla retorica commiserevole che in genere accompagna i resoconti biografici di artisti che non sono più tra noi, il fumetto di Tuono apparecchia la tavola per infinite discussioni sul potere emancipatorio della musica, il valore dell’amicizia, l’importanza di non prendersi troppo sul serio, il bisogno di trovare la propria voce. E nel farlo si rende un classico, in grado di regalare qualcosa di personale a chiunque lo legga.
Tuono Pettinato è stato un autore straordinario, raffinato e gentile, ironico e colto. Un autore che aveva in comune con lo stesso Cobain una certa ipersensibilità e l’attitudine a togliere visibilità a se stesso appena poteva, per darne alle sue ispirazioni meno conosciute, citandole nei suoi libri, nelle interviste o nelle conversazioni, oppure nelle innumerevoli t-shirt (nere) che costituivano la sua divisa d’ordinanza. La sua scomparsa, a 44 anni, ha addolorato la comunità artistica italiana tutta. L’ho definito una lettura imprescindibile per i fan dei Nirvana, ma la verità è Nevermind andrebbe letto da chiunque. Tuono Pettinato andrebbe letto da chiunque. Chiunque se la senta di fare un passo “oltre” il disegnino apparentemente innocuo, per immergersi nel sottobosco di rimandi culturali e poetici e farsene straziare. Per chiosare con le sue stesse parole: “Troppo comodo, uscire illesi dai fumetti.”