Comarò vol. 2 – In conversazione con Bianca Bagnarelli

Sabato 15 marzo si è tenuto a Schio il secondo appuntamento di Comarò, la piccola rassegna sul fumetto che sto curando per Casa Capra. L’ospite del giorno era Bianca Bagnarelli, giunta eroicamente da Bologna nonostante il maltempo. Di seguito potete leggere una trascrizione della nostra piacevolissima chiacchierata – condensata quanto possibile, per esigenze editoriali. 

VALERIA: Grazie Bianca per essere qui. Oggi parliamo del tuo libro “Animali domestici”, uscito qualche mese fa per Coconino Press. Un’antologia, una raccolta di racconti che hai scritto e disegnato nell’arco di dieci anni, tra 2013 e 2024. Questo libro è qualcosa di speciale per chi conosce il tuo lavoro, perché contiene delle storie apparse finora soltanto all’estero, in lingua inglese, oppure uscite come autoproduzione, ma mai ristampate. Cosa provi a vedere finalmente pubblicato questo libro? E per Coconino poi, che so esserti molto caro come editore di fumetti, dato che in catalogo ha numerosi dei tuoi autori preferiti.

BIANCA: Prima di tutto grazie a tutti voi per essere presenti e grazie a te e Saverio per l’invito. È stato stranissimo, pubblicare questo libro. L’anno scorso ho passato mesi a rileggere le mie vecchie storie, dopo anni. Rileggere se stessi può essere terribile, soprattutto se è passato tanto tempo: saltano agli occhi errori, imprecisioni. Mi sono immersa in una versione, anzi più versioni di me che non esistono quasi più. Pubblicare con Coconino però è stato bello, penso non lo avrei fatto con nessun altro editore italiano. Quando avevo 18-19 anni andavo in fumetteria e compravo i loro libri quasi di default, a scatola chiusa, tanto sapevo che mi sarebbero piaciuti. Poter essere oggi nel loro catalogo è una cosa bella, un altro piccolo sogno che si avvera. Sono contenta.

V: Com’è nata l’idea di farlo, questo libro? Li hai contattati tu oppure ti hanno chiesto loro di farlo?

B: Ho appena detto che non avrei potuto farlo che con loro, ma [ride] la realtà è che mi era stato proposto da un altro editore, cioè Rulez. Chiara Palmieri mi aveva contattato anni prima, chiedendomi di fare questo libro. Io all’inizio opponevo resistenza, ma alla fine lei era riuscita a vincere le mie perplessità e avevamo iniziato a progettarlo. Per varie vicissitudini, come accade in questo lavoro, poi non abbiamo concluso, ma mi era rimasta “nella pancia” l’idea di questo oggetto fisico, che rendesse le storie permanenti. Il problema, quando si lavora tanto con le pubblicazioni digitali, è che col passare degli anni di quel lavoro si perde traccia, per cui il fatto di avere un oggetto fisico, un libro, che contenesse quello che avevo fatto mi era rimasto in testa. Ne parlai con Alessandro Tota, gli dissi pure che mi sarebbe piaciuto farlo con Coconino ma avevo paura di non interessargli. Lui mi ha risposto “Sei scema, secondo me il progetto gli piacerà di sicuro”; abbiamo sentito l’editore e alla fine il libro s’è fatto.

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Everything is Flammable. Madri, figlie e scolapiatti

Se aveste incontrato Gabrielle Bell all’inizio dell’estate del 2014, avreste detto che se la stava cavando piuttosto bene. Aveva disdetto l’abbonamento ad internet per evitare distrazioni, cambiato dieta in modo da mangiare più frutta e verdura, inventato metodi alternativi per sopravvivere all’afa, accettato l’idea che il suo computer fosse defunto, i soldi finiti. Le avreste persino rivolto uno sguardo intenerito ascoltando le evoluzioni del suo piccolo orto. Dopodiché avreste iniziato a notare lo strano sorriso con cui raccontava questa storia e capito che sotto sotto si sentiva sopraffatta dalle preoccupazioni e dall’ansia.

Reduce dalla pubblicazione del suo ultimo fumetto (Truth is fragmentary) e in attesa di trovare nuova ispirazione per scrivere dell’altro, si ritrovava ferma nella sua casa di Brooklyn, circondata da amici premurosi ma inquieta ed esausta. Quando un giorno…

Un giorno riceve una telefonata raggelante: la casa di sua madre è andata a fuoco in piena notte. Lei fortunatamente si è salvata ma l’incidente le è costato caro, tanto che ora è costretta a vivere in una tenda che le ha prestato un amico. Senza soldi, telefono o auto. La notizia (unita al senso di colpa di una figlia che sa di vivere lontana) smuove Bell al punto da spingerla ad iniziare una serie di viaggi da New York alle zone rurali della California settentrionale dove è cresciuta, per aiutare la madre a trovare una nuova sistemazione.

Everything is flammable (pubblicato da Uncivilized Books nel 2017, ancora inedito in Italia), nasce dunque per puro caso. Dagli appunti scribacchiati da Bell durante questi trasferimenti, per evolvere nel superbo resoconto a fumetti dell’esperienza catartica e surreale della reunion di due donne introverse e fragili che si ritrovano assieme dopo che il passato le aveva ferite e allontanate bruscamente.

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The Hard Tomorrow. Felicità a momenti e futuro incerto

Nell’Ottocento, i poeti romantici tedeschi avevano coniato il termine Weltschmerz (“dolore cosmico”) per descrivere la sensazione di inadeguatezza e impotenza che provavano di fronte alla realtà crudele che opprimeva le loro libertà e la loro capacità di realizzarsi come individui. Il concetto vi suona familiare? Forse perché anche voi disperate per lo stato del mondo oggi e avete notato che le ragioni per rispolverare l’uso del termine non mancano.

Dalla politica isolazionista che sta sorgendo su entrambe le sponde dell’Atlantico, alle disparità economiche cupe e crescenti, alla crisi dei rifugiati, al ritorno del fascismo e del nazionalpopulismo, fino alla sempre trascurata crisi climatica, la sensazione diffusa è che il mondo sia sfuggito al nostro controllo e che i pochi che ancora detengono il potere e gli strumenti per guidarlo non siano interessati a farlo.

In questo contesto diventa persino difficile riconciliare il desiderio di avere dei figli con lo stato del mondo in cui li faremmo nascere. Voler diventare genitori, in un mondo sull’orlo del collasso, è un comportamento da irresponsabili? Eleanor Davis ha provato a dare una sua risposta a questa domanda da un milione di dollari con il suo ultimo libro a fumetti, The Hard Tomorrow, uscito il mese scorso per Drawn & Quarterly. Una storia meravigliosa e ricca di empatia su una coppia di giovani sognatori che stanno cercando di costruirsi un futuro nonostante tutto (compreso il privilegio di poter scegliere).

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Chlorine Gardens. Essere madre, moglie e artista bipolare

Vorrei immediatamente riconoscere a Keiler Roberts un grande merito. Quello di avermi fatto appassionare alla vita ordinaria (e ragionevolmente agiata) di una donna sposata, sua figlia e le sue amiche tramite un racconto asciugato di quelle leziosità o iperboli che in genere caratterizzano le storie di chi racconta, seppur con modestia, quant’è bella la sua famiglia. Le sue sono opere malinconiche, a tratti scomode, che offrono uno spaccato di vita familiare onesto e riconoscibile (sia per chi ha figli, che per chi non ne ha). Disegnate in modo minimale, senza colori, ombre o profondità, come per rafforzare il tono anti-sentimentale della narrazione.

Keiler Roberts è una fumettista di 38 anni, nata a Milwaukee e residente a Chicago. Dal 2009 è autrice dell’autoproduzione autobiografica Powdered Milk, latte in polvere, che le è valsa svariate nomination – e una statuetta – agli Ignatz award come Outstanding Minicomic ed è stata raccolta in alcuni volumi, ultimo dei quali è Chlorine Gardens uscito nel 2018 per Koyama Press.

In questo fumetto, Roberts racconta il suo rapporto con la figlia piccola Xia, con il marito Scott Roberts (anche lui fumettista) e con il loro cane spelacchiato Crooky, oltre alle interazioni frequenti con altri membri della famiglia e studenti del suo corso di fumetto alla SAIC (School of the Art Institute of Chicago).

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