Con “Transformer” Nicoz Balboa abbraccia la sua identità transgender

La società in cui viviamo fatica a decostruire e contrastare i pregiudizi di matrice storica e culturale che riguardano le diverse identità di genere. A causa della tossicità di queste idee e la violenza che spesso le accompagna non sorprende che alcune persone provino vergogna, senso di colpa e altre emozioni negative quando considerano la possibilità di essere trans*. La verità è che il genere è una bellissima parte di sé e merita amore e rispetto. Abbracciare la propria identità e avere il coraggio di comunicarla a coloro che sono più vicinə può essere un gesto estremamente potente. Sapere quando o come dichiararsi può essere spaventoso, ma anche molto liberatorio se si è dispostə a farlo.

“Sei una sirena con questo culo e questi fianchi”, “Sì, ma una sirena maschio”. Play with fire, seconda opera di autofiction di Nicoz Balboa, uscita nel 2020, si concludeva con una conversazione cruciale tra Nicoz e lə suə compagnə non-binary Stef. Giunto all’apice della sua disforia, Balboa si disegnava schiacciato tra la pressione di conformarsi alle tradizionali aspettative di genere femminile, la paura di non sapere se la sua relazione sarebbe sopravvissuta ad un eventuale coming-out e la necessità di uscire dall’ombra ed essere sincero con se stesso e ciò che provava. Un tuffo nel profondo blu metteva la parola fine a un momento di grande sofferenza.

Transformer riparte esattamente da qui, dal profondo del mare. Uscito questa settimana per Oblomov, il volume – attesissimo da coloro che seguono l’attività di journaling di Nicoz online e non vedevano l’ora di poterlo ritrovare su carta – racconta il coming out di Balboa come uomo trans e l’inizio del suo percorso di transizione. Un viaggio costellato di imbarazzi, dubbi, delusioni ma anche orgoglio, tenerezza e intimità, narrato con il consueto mix di dramma e umorismo che caratterizza i lavori dell’autore romano, francese d’adozione.

Come le sue precedenti opere, Transformer si presenta come un diario disegnato, con tanto di date, note a margine e testi che corrono per tutta la tavola con continui cambi di lettering, parti acquerellate e parti inchiostrate, sbavature; fuori da ogni schema – in tutti i sensi. Vi è però una differenza rispetto ai titoli che l’hanno preceduto: Transformer si apre con una premessa. Balboa si raffigura sulla pagina bianca mentre spiega che “alcune cose raccontate nel libro sono accadute, altre sono inventate. Cosa è vero e cosa no è irrilevante ai fini della storia”. Sarà inoltre utilizzata la schwa (ə) per riferirsi nella maniera più inclusiva possibile alle persone che compaiono nella storia. È un’intro che eccheggia la rottura della quarta parete di Alison Bechdel – uno degli spiriti guida di Balboa, menzionata anche all’interno del volume – che nei suoi fumetti autobiografici era solita rivolgersi al pubblico per accoglierlo nelle proprie storie.

Raggiungere piena consapevolezza della propria identità di genere richiede del tempo. Nel caso di Balboa la scoperta di sé avviene a trent’anni, con un divorzio alle spalle e una figlia da crescere come genitore single. Nella prima parte del volume racconta che – col senno di poi – le avvisaglie di un’esistenza bloccata in un corpo percepito come estraneo c’erano tutte, e da tempo. Confusione, ansia, negazione dei propri sentimenti e preoccupazioni per essere accettato hanno sempre fatto parte della sua quotidianità sin dai remoti anni delle scuole elementari. A completare il quadro, l’affacciarsi tardivo della pubertà (con le mestruazioni arrivate a 17 anni, dopo svariate sedute dal ginecologo e un trattamento ormonale) e il primo poco convinto rapporto sessuale con un ragazzo.

Va detto che a dispetto del sottotitolo queste pagine non contengono “istruzioni per l’uso”, informazioni utili e concise per affrontare la disforia. Non ci sono capitoli, classificazioni, consigli. Vediamo Balboa assumere testosterone in gel, per poi passare alle iniezioni controllate dall’infermiere, ma non sono vignette accompagnate da spiegazioni. Lo stesso è per i diversi appuntamenti con le dottoresse specializzate (terapista, endocrinologa). L’autore non ci dice “come si fa”, ma racconta come l’ha fatto lui, invitandoci a seguire i suoi ragionamenti. Il suo obiettivo è “creare uno spazio in cui esistere e essere valido”. Un modo per dare maggiore concretezza a ciò che gli è successo e fornire ispirazione alla comunità transgender. Perché in fondo non c’è niente di più confortante del sapere che non si è solə nelle sfide quotidiane.

In Transformer trova ampio spazio la riflessione su come il cambiamento che Nicoz Balboa sta attraversando influisca sul suo rapporto con la sessualità – fino a quel momento vissuta (e raccontata) in maniera serena, libera, senza fronzoli. Se la terapia ormonale con testosterone aumenta fortemente il suo desiderio sessuale, il suo odore e persino – con sua piacevole sorpresa – le dimensioni del clitoride, all’eventualità di raggiungere l’orgasmo e mostrarsi nudo Balboa si mostra perplesso e insicuro. Quel tipo di intimità sfida in un modo inedito la percezione di sé e del proprio corpo. Questo non significa che non riesca più ad affrontare l’argomento, anzi. L’autoironia viene nuovamente in suo aiuto: ritrae posizioni, sex toys, paure e piaceri, provando gradualmente ad instaurare un dialogo aperto, accogliente e costruttivo coə partner (e chi legge).

Lo spettro della maschilità può essere molto ampio – va da Thor al bimbo dei Rugrats, scherza Balboa raffigurandosi nelle due versioni antitetiche. Riuscire a posizionarsi all’interno di questo spettro è difficile (“Pensare che non sono abbastanza uomo mi dà voglia di correre a nascondermi” scrive in cima ad una pagina che lo vede alla mercè sua disforia). Modellare il corpo con nuovi tagli di capelli, ma anche abiti e accessori può però essere d’aiuto. I momenti di make-over, di trasformazione estetica, sono tra i più divertenti del libro. In queste sequenze l’autore infatti non lesina sullo humour mostrandoci le bizzarre mutande che decide di acquistare online e i primi approcci al soft packer, la protesi che simula un pene a riposo e viene posizionato nei boxer per dare “volume” e sentirsi più a proprio agio quando non si portano i pantaloni. Anche lo shopping insomma può aiutare a combattere la disforia. Per tutto il resto c’è Tom, il parrucchiere vicino di casa già visto in Play With Fire, che l’aiuta a domare i ciuffi pazzi e sentirsi più se stesso (“bono come Mahmood”).

Mina, sua figlia (ora adolescente), si vede meno nel fumetto rispetto al passato, ma è costantemente nella mente di Nicoz Balboa, che di fronte alla propria verità è spaventato, preoccupato e confuso soprattutto al pensiero di cosa potrebbe pensare la ragazzina. Il coming-out con lei, riassunto in una singola tavola, è centrale e, in un certo senso, unica cosa validante dell’agognato percorso. Una risposta positiva che innesca immediatamente maggiore autostima, maggiore accettazione di sé e, soprattutto, dà “il la” a una comunicazione e un’apertura continue.

Le risposte che riceve al suo coming-out non sono naturalmente tutte uguali: alcune fanno male (“È una fase. Tu devi sempre provare tutto”) altre fanno bene (“Se sei felice io sono felice”). Nei momenti di sconforto, l’importante è ricordarsi che non esiste un modo giusto o sbagliato per dichiararsi trans*. Non c’è un “unico modo” per uscire allo scoperto. Alla fine, bisogna fare ciò che sembra più sicuro, magari cercando supporto nella comunità LGBTQ e dotandosi di uno “spirito guida”; nel caso di Balboa, niente meno che Paul B. Preciado!

Nicoz Balboa con questo fumetto fa tesoro della lezione di un’altra sua eroina, Julie Doucet, che con disegni complessi, disordinati e dettagliati catturava sulla tavola la dura realtà di una vita vissuta schivando un pasticcio dopo l’altro, e porta a casa una nuova opera brutalmente onesta, profondamente underground e meravigliosamente impenitente. Per la comunità T italiana un fumetto così è una benedizione.

Felice TDOV – Trans Day of Visibility!


Note:

• Come ha raccontato Balboa su Instagram, il libro doveva inizialmente intitolarsi “Spit On A Stranger”, come la canzone dei Pavement. Di comune accordo con Igort, suo editor e supporter dal giorno uno, ha preferito poi sostituirlo col più evocativo “Transformer”, che omaggia in un colpo solo l’iconico album di Lou Reed (prodotto da Bowie) e l’omonima canzone dei Robot In Disguise.

Questa prima tiratura presenta un errore di stampa a pagina 36: la vignetta in basso è tagliata e non si riesce a leggere il testo completo. Ironia della sorte, lì Nicoz stava dicendo quello che abbiamo pensato in moltə prima della pandemia: “Ok. 2020 è il mio anno. È l’anno in cui prendo in mano la mia vita!” Sul suo profilo Instagram (storie in evidenza) è possibile vedere la tavola completa.

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